Razzisti a parole (per tacer dei fatti)

Non sono razzista, ma….una serie di frasi aperte da questo distinguo, tratte in parte da un testo satirico degli anni Novanta, e in parte da siti d’informazione, blog e social network nel 2011, apre questa recente pubblicazione curata dal docente universitario di Linguistica all’Università di Reading Federico Faloppa, Razzisti a parole (per tacer dei fatti), edizione Laterza, Roma-Bari, 2011.
Il lettore sicuramente non riuscirà a distinguere ciò che fu scritto da un autore satirico ai tempi della Prima Repubblica e le inquietanti convinzioni dei “non razzisti però…” di oggi, che esprimono le stesse retoriche di oltre vent’anni fa sulle “postmoderne” piattaforme dei blog e dei social network, perché il discorso prevalente sull’immigrazione è sempre lo stesso.

Il punto, secondo Faloppa è che, scomparso dalla scena il razzismo classico che teorizzava l’esistenza delle razze e la loro gerarchia, è rimasto diffuso nel linguaggio quotidiano, nel discorso pubblico e mediatico un razzismo a parole che di fatto ne perpetua le finalità attraverso facili stereotipi volti a colpire gruppi sociali minoritari, leggende metropolitane come quella della zingara rapitrice, un habitus mentale che rinuncia ad esercitare il dubbio e il pensiero critico per adeguarsi comodamente a quello che tutti sanno.
Con una documentata selezione di pezzi tratta dalla carta stampata italiana, Faloppa ricostruisce la storia di un razzismo a parole che si basa sulla pratica quotidiana dell’abuso linguistico, e ci mette di fronte a paradossi evidenti eppure pigramente accettati (quasi) da tutti: clandestini dei quali tutti conoscono la presenza e l’esatto numero complessivo, bambini immigrati che non si sono mai spostati dal paese nel quale sono nati, l’Italia, vù cumprà che non hanno mai pronunciato questa espressione, nomadi che in realtà sono da anni stanziali nello stesso territorio.

Il razzismo a parole è quello degli insulti come sporco negro e affini, che non si limitano a manifestare avversione, ma che sono performativi, in quanto riportano a nuova vita tutto l’armamentario retorico del razzismo classico e che per questo alcuni studiosi propongono di considerare alla stregua di vere e proprie azioni discriminatorie.

Il razzismo a parole prospera in un società in permanente stato di eccezione, categoria della quale la scienza politica ci ha insegnato la pericolosità, quella delle emergenze permanenti, catalizzate dalla madre di tutte le emergenza: l’emergenza sicurezza, alias emergenza immigrazione. E nel capitolo conclusivo, l’autore in poche righe demolisce efficacemente i più triti e nello stesso tempo incrollabili luoghi comuni non razzisti ma… invitandoci a esercitare il pensiero critico come prima difesa verso un razzismo a parole pronto a degenerare nella concretezza dei fatti.

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