The Mission: show must go on?

Spettacolarizzazione del dolore o sensibilizzazione del grande pubblico sul tema dei rifugiati? Continua a impazzare la polemica sul nuovo cosiddetto “docu – reality a sfondo sociale” The mission, proposto dalla Rai per il nuovo palinsesto televisivo. Un dibattito intricato, andato avanti per tutta l’estate a colpi di petizioni, accuse, difese, dichiarazioni e successive smentite e che promette farla da padrona anche nei mesi che ci attendono.

Ripercorriamo brevemente le varie tappe in cui il dibattito si è articolato in queste ultime settimane. Uno dei primi a “lanciare l’allarme” è stato il giornalista e blogger Giulio Sensi, sul suo blog L’involontario. Sul piatto le questioni che hanno scatenato un vero e proprio polverone che ha travolto Rai e chi con lei ha promosso il docu – reality. Tra queste il rischio di pietismo e di gratuita spettacolarizzazione della povertà, il tutto, secondo molti, per riportare in auge i personaggi dello spettacolo chiamati a partecipare. Spettacolarizzazione che poi forse tanto gratuita non è, viste le dichiarazioni trapelate da Albano – uno dei partecipanti – relative al suo compenso “irrisorio”, 500 mila euro più una cifra ridotta per la figlia.

Altro rischio messo in luce quello della diffusione di un’immagine sbagliata, semplicistica e stereotipata di una questione così importante e complessa come quella dei campi profughi, la cui corretta trattazione non sembra possibile esser affidata a una sorta “Grande Fratello”.

Se questa è stata la miccia, quello che è venuto dopo è stato un vero e proprio incendio. Di iniziative contrarie al reality ne ricordiamo qui solo alcune: l’appello di Gus, Gruppo Umana Solidarietà, lanciato a difesa della dignità dei rifugiati e delle associazioni che da anni lavorano al loro fianco, lontano dalle telecamere e dagli onori della cronaca; le due petizioni, una diffusa su change.org, l’altra su activism.org, per la cancellazione del programma dal palinsesto Rai, che hanno raccolto migliaia di adesioni; l’interrogazione parlamentare in Commissione Vigilanza di Vinicio Peluffo, con cui il deputato ha chiesto “un ripensamento sul reality, colpevole di sfruttamento della sofferenza, contrario ai principi di etica dell’’informazione e non in linea con la missione del servizio pubblico radiotelevisivo”.

Di fronte a questo fuoco spiegato di polemiche, un’alzata di scudi è arrivata dalla Rai, affiancata da Unhcr e da Intersos, le due realtà che coadiuvano l’emittente pubblica nella realizzazione del programma, nonché da alcuni dei partecipanti.

“Portare all’attenzione del grande pubblico l’importanza delle missioni umanitarie – fa sapere con un comunicato stampa la Rai -. Far riflettere e far conoscere il lavoro degli operatori internazionali. Offrire uno spaccato di realtà spesso tenute ai margini dell’informazione, sia quella televisiva sia quella della carta stampata. E’ con questo spirito, proprio del Servizio Pubblico, la Rai si è espressa favorevolmente alla realizzazione di Mission, questa grande produzione prodotta in collaborazione con l’Unhcr e Intersos”.

“Mission – continua – non sarà un game, come qualcuno ha voluto far intendere, non ci saranno eliminati o vincitori. Sarà soltanto un lungo racconto attraverso le immagini e le testimonianze di chi ha vissuto e vivrà all’interno dei campi profughi. Per quanto riguarda la produzione, non esiste al momento alcun numero zero (checché gli stessi partecipanti abbiano fatto numerosi accenni alla sua esistenza, ndr). C’è soltanto una piccola parte video girata l’estate scorsa che non costituisce una puntata pilota. Il cast è ancora work in progress. La rete e la produzione stanno lavorando, ma di definito ancora non c’è nulla. L’unica cosa certa è che la Rai non può non occuparsi di questi temi, portandoli anche in prima serata”.

A lanciarsi in difesa del reality anche Laura Lucci dell’Unchr. “Stiamo collaborando a questo programma – ammette – perché abbiamo l’opportunità di far capire al grande pubblico chi sono i rifugiati, perché scappano, quale è il loro background. Pochi sanno che in tutto il mondo ci sono 40 milioni di rifugiati. Molti restano nei campi anche per venti anni. Sono vite spezzate. La nostra priorità rimane quella di proteggere i rifugiati. Saranno raccontate solo le storie di chi decide di essere ripreso dalle telecamere. Saremo i primi a vigilare: i nostri operatori seguiranno passo passo la troupe televisiva, non la lasceranno neanche per un minuto”.

A fare eco anche le dichiarazioni di due dei futuri concorrenti, Paola Barale e Albano.

“[…] Sono fiera di quello che ho fatto – ammette Barale – , Mission mi è sembrata da subito l’occasione per trattare un tema degno di grande attenzione, senza relegarlo come sempre a notte fonda o in orari impossibili. Se qualcuno si scandalizza della mia presenza è libero di farlo. Sono andata in Congo ad aiutare, nella misura del possibile, i cooperanti di Unhcr e Intersos che sul luogo svolgono quotidianamente attività a favore di persone realmente bisognose. […]Viene spontaneo chiedersi come mai tanta gente stia remando contro un programma giudicandolo prima ancora di averlo visto. Mi viene da pensare che gli interessi di alcuni siano esterni al progetto al quale mi è stato chiesto di partecipare”. (Fonte: Il Secolo XIX)

“Io difendo questo programma – rincara la dose Albano – e non capisco davvero cosa ci vediate di male. Non capisco perché si parli di reality quando si tratta di realtà. Non si tratta di uno spettacolo, ma un’indagine, un’occasione per accendere i riflettori sulla gente che soffre […]”.

In tutto questo c’è però anche chi, per il momento, preferisce non sbilanciarsi. Come l’Associazione Carta di Roma e Fnsi. “Ci si chiede di esprimerci oggi su un programma che non abbiamo ancora visto e sul quale quindi non possiamo esprimere ancora una valutazione – affermano Giovanni Rossi, presidente FNSI, e Pietro Suber, delegato CNOG per Carta di Roma, -. Se ci saranno violazioni del codice deontologico, che ricordiamo comunque si rivolge all’informazione giornalistica, non esiteremo a farle presenti alla produzione e ai responsabili del programma, così come abbiamo fatto fino ad oggi rispetto ad articoli o servizi apparsi su testate nazionali e locali”.

A fare il botto, infine, la notizia della cancellazione del reality, diffusa da Articolotre e rimbalzata un po’ dappertutto. Notizia, però, recentemente smentita dalla stessa Rai.

“Rai1 – si legge nel comunicato stampa – non ha cancellato il programma Mission. Come più volte ribadito la trasmissione è un cantiere aperto e non sono stati realizzati numeri zero né numeri pilota. Anche per quanto riguarda il cast è tutto work in progress. Le cifre riportate come eventuali compensi per i partecipanti alla trasmissione non corrispondono a realtà”.

Uno degli ultimi – per ora – interventi al vetriolo contro The Mission spetta al direttore di Vita Riccardo Bonacina. Il giornalista ripercorre punto per punto le domande poste alla Rai sull’edizione del reality (i vip avranno un gettone di partecipazione? Qual è la spesa per la realizzazione del programma? …), riscontrando una totale incongruità e mancanza di chiarezza del recente comunicato stampa diffuso sul tema dal servizio televisivo pubblico.

Innanzitutto Bonacina non lascia passare il termine usato dalla Rai per definire The Mission, descritta non un “reality”, ma un “progetto di social TV”. “Ricordiamo a una televisione che non ha ancora scollinato i problemi della tv digitale e che è ferma al televideo anni ’80 – si legge su Vita - che Social tv significa la convergenza di Social Media e Televisione e la loro iterazione. Staremo a vedere i prodigi tecnologici della Rai, ma per ora sottolineiamo che questo ha a che vedere con il linguaggio e non il format della trasmissione”.

Quanto al gettone per i concorrenti, non convince la dichiarazione dell’emittente pubblica, secondo cui “i volti noti, non saranno remunerati salvo un rimborso spese”. Una sorta di ossimoro, come nota Bonacina, che nasconde la verità sui reali compensi.

In questo via vai di attacchi e polemiche reciproche, ciò che veramente accadrà a The Mission non è ancora svelato. Una cosa è certa: il programma non è ancora in onda e già se ne straparla. Se effettivamente riuscirà a sbarcare sul piccolo schermo, di certo non passerà inosservato.

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